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mercoledì 26 dicembre 2012

RISCHIO SANITARIO AMBIENTALE: COME ANALIZZARLO, CASO PER CASO, PER BONIFICARE

In Italia i siti contaminati sono rappresentati per la stragrande maggioranza da impianti industriali, in attività o dismessi, discariche e punti vendita carburanti. Quindi, in questi casi, i lavoratori e/o i residenti sono potenzialmente a rischio per esposizione (inalazione, ingestione e/o contatto dermico) ad agenti chimici pericolosi presenti nel suolo insaturo o nelle acque di falda su cui insistono tali attività.
La Banca Dati "ISS-INAIL" per l’Analisi di Rischio sanitario ambientale è stata elaborata dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS) e dall’Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro (INAIL).
L'importanza e l'utilità di questa banca dati consiste nel rendere uniformi a livello nazionale i valori dei parametri caratteristici di tali sostanze, necessari per l'applicazione della procedura di analisi di rischio. Questo strumento ha, quindi, permesso di superare il problema legato alla mancata uniformità delle banche dati implementate nei software comunemente utilizzati a livello nazionale, che spesso contengono valori dei parametri chimico-fisici e tossicologici molto diversi tra di loro. Inoltre, la sua precedente versione conteneva delle incongruenze relative alla classificazione di cancerogenicità delle sostanze che, con la presente edizione, si ritengono superate.
VAI AL SITO INAIL PER L'ARTICOLO:
http://www.inail.it/Portale/appmanager/portale/desktop?_nfpb=true&_pageLabel=PAGE_SALASTAMPA&nextPage=Prodotti/News/2012/Ricerca_e_tecnologie_della_sicurezza/info-1225589329.jsp
E A QUELLO DELL'ISS PER LA BANCA DATI COMPLETA:
http://www.iss.it/iasa/?lang=1&tipo=40

martedì 27 novembre 2012

CHIUDE ILVA DI TARANTO: SCIOPERO E TENSIONE

Dell'ILVA di Taranto già ci eravamo occupati in passato
il 30 luglio
il 18 agosto
e il 23 agosto

La situazione è evoluta fino all'epilogo di stamattina

Dalla lettura delle nostre iniziali prese di posizione, che confermiamo al cento per cento anche alla luce dei più recenti avvenimenti, potrete constatare che, come suol dirsi, avevamo (amaramente) ragione e ci avevamo visto giusto. Purtroppo, anche per il fatto che come AGL siamo nati a giugno, non abbiamo avuto la possibilità di essere presenti, in loco e di parlare direttamente ai lavoratori coinvolti i quali, da anni (ma sembra l'abbia fatto pure l'azienda) si sono costantemente e massicciamente rivolti a CGIL, CISL, UIL. Altri sindacati minori si sono fatti sentire ma ciò non ha spostato il baricentro della strategia del movimento di protesta. I risultati sono stati quindi quelli che conoscete. Delusione e disperazione dei lavoratori. Sindacati che non sanno che pesci prendere. Governo (e istituzioni) completamente rintronati, ai massimi livelli.
Giovedì prossimo è previsto un incontro tra governo, azienda e parti sociali che dovrebbe sfociare in un provvedimento d'urgenza i cui contenuti, allo stato, non è dato conoscere ma che sappiamo già non sarà risolutivo ma solo interlocutorio.
Noi non saremo a quell'incontro ma riteniamo utile, per l'ennesima volta, a futura memoria, ribadire e specificare il nostro punto di vista, radicalmente alternativo a quello degli altri sindacati.
Speriamo di essere chiari, una volta per tutte.
Produrre acciaio , anche senza inquinare, in Italia NON è “strategico”.Non porterebbe da nessuna parte né aumentare le tasse né richiedere prestiti alla collettività per effettuare investimenti che tutti concordano essere dell'entità di miliardi di euro, sia che vengano gestiti dal soggetto pubblico né, men che meno ,dal soggetto privato. Anche se è stato praticato da altri paesi industrializzati di recente (ad esempio il governo USA con la Chrysler ) il concetto di “salvataggio” dell'industria da parte dello Stato con soldi pubblici è sbagliato perchè di corto respiro, oltre che insostenibile in epoca di enorme debito pubblico. E poi gli USA e gli altri paesi industrializzati sono una cosa, il cosiddetto “sistema” Italia è un'altra, con caratteristiche sue peculiari. In esso è evidente che ancora sono in vita (per poco) aziende in crisi che non dovrebbero più esistere. Ad esempio le acciaierie italiane non sono e non potranno essere più competitive nel mondo. Già certi processi sono in corso e sorprende che dal mondo accademico, cui l'attuale governo è così legato, nessuno faccia presente che tra dieci anni l'acciaio, nel mondo, sarà prodotto, a costi per noi insostenibili, da polacchi, cinesi, indiani, sudamericani. Si tratta di produzioni a basso valore aggiunto che troveranno contesti paese più adatti alla loro produzione, rispetto alle caratteristiche dell'Italia. Per l'acciaio l'Europa Occidentale è finita, non ha futuro. Il problema di fronte alle classi dirigenti del nostro continente è investire in attività e imprese che abbiano un futuro. Le aziende che lo hanno sono quelle che producono autonomamente utili, che riescano a mantenersi sul mercato, non quelle che campano di sussidi pubblici. Questo quadro è peggiorato, in Italia, dall'incapacità dei sindacati di pretendere e ottenere aumenti salariali derivanti dalla eventuale riduzione di imposte e contributi. Questi sindacati sono infatti sotto il ricatto e il potere di una pubblica amministrazione mastodontica che vuole ingrassare sempre di più, senza dare servizi decenti e che dà da mangiare a partiti e agli stessi sindacati. Tutto ciò rende non più competitivo il costo del lavoro italiano. Oltre all'acciaio, analogo discorso può essere fatto per il carbone e per la situazione sarda. Le strade che si stanno percorrendo non porteranno a nulla se non a maggiori illusioni e caos. Potevamo arrivarci con più calma e organizzazione. Le classi dirigenti sono state miopi e ora per salvarci dovremo fare in fretta, molto in fretta. Taglio di rami inutili della pubblica amministrazione, mobilità guidata e veloce del personale tra amministrazioni esaurite e quelle che abbiano una prospettiva per evitare licenziamenti, utilizzo massiccio delle zone franche fiscali per promuovere sviluppo, investimento per lo più in turismo e cultura. Questa l'unica via d'uscita, per Taranto e per la Sardegna, dicendo addio all'ILVA e alle miniere. Ma ciò vale in generale per l'Italia e per situazioni analoghe sul territorio. Basta con l'auto a benzina, si parta subito con l'elettrico e con i mezzi di trasporto pubblico. Se FIAT vuole starci bene, altrimenti scindere i destini del nostro Paese da quelli di questa azienda. Come altri hanno detto, ci sono circa due miliardi di persone, dalla Cina e dall'India che già vorrebbero venire a visitare l'Italia ma che non possono farlo per la nostra disorganizzazione nel settore turismo e cultura (ad esempio il nostro patrimonio artistico non è catalogato e digitalizzato) . L'Italia ha i cervelli e gli imprenditori per poter realizzare ciò. Monti li metta in condizione di lavorare. Quando si sostiene che nessun paese al mondo ha una economia che funziona senza la presenza dell'industria, si dimentica di dire che quelle dell'acciaio e quella del carbone sono solo due dei tipi di industria. La divisione del lavoro internazionale sta cambiando, quei tipi di industria che abbiamo avuto nel passato tra poco emigreranno verso paesi nei quali le condizioni per ospitarle sono più adeguate. L'Italia deve avere l'industria ma non di quel tipo. Turismo e Cultura possono procurare, se sviluppati e organizzati, anche più posti di lavoro della decadente industria pesante italiana. L'Italia, altri hanno detto, e a ragione, potrebbe essere per l'Europa quello che la Florida è per gli Stati Uniti, con una qualità della vita incomparabilmente migliore. Capiamo che imprenditori che hanno campato di aiuti statali finora e sindacati che hanno vissuto di trattenute sindacali di lavoratori dipendenti di fabbriche di massa possano essere a disagio in conseguenza di questi cambiamenti. Ma il problema è capire se l'interesse del Paese coincida con loro o con altre esigenze della popolazione. Ovviamente, nel mezzo, ci sono altri casi in cui una produzione (stiamo parlando dei nostri settori di eccellenza) ha senso che rimanga in Italia ma è necessaria una ristrutturazione relativa a caratteristiche organizzative che diminuiscono la competitività. Ma è finito il tempo di sprecare e buttare soldi pubblici. In Italia dobbiamo avere il coraggio di far fallire imprese decotte e superate e di favorire il ricambio ad opera di soggetti più dinamici che creino profitti e posti di lavoro, stimolando la raccolta di capitali dai privati , facilitata dalla detassazione degli investimenti. .
Sorprende che nessun sindacato italiano oltre al nostro abbia il coraggio di sostenere queste cose.
In bocca al lupo agli operai dell'ILVA e dell'indotto, siamo e saremo con loro indipendentemente dal fatto che siano d'accordo o meno con quanto da noi proposto.

lunedì 5 novembre 2012

Cassazione, Vessato sul lavoro? "Risarcibile anche senza mobbing"

Dal sito dell'AGI
www.agi.it

http://www.agi.it/in-primo-piano/notizie/201211051559-ipp-rt10184-cassazione_vessato_sul_lavoro_risarcibile_anche_senza_mobbing

"""""""""(AGI) - Roma, 5 nov. - Un lavoratore ha diritto a un risarcimento danni per aver subito comportamenti "vessatori e mortificanti", anche se non viene raggiunta la prova che si tratti di vero e proprio mobbing. A sancirlo e' la Cassazione, esaminando il caso di una donna, dipendente di una farmacia, la quale aveva addirittura tentato il suicidio per la depressione conseguente alle "azioni vessatorie" ai suoi danni da parte del datore di lavoro e di colleghi, che l'avevano portata infine al pensionamento anticipato. "Nelle ipotesi in cui il lavoratore chieda il risarcimento del danno patito alla propria integrita' psico-fisica in conseguenza di una pluralita' di comportamenti del datore di lavoro e dei colleghi di lavoro di natura asseritamente vessatoria - si legge nella sentenza n.18927 della sezione lavoro della Suprema Corte - il giudice del merito, pur nella accertata insussistenza di un intentopersecutorio idoneo ad unificare tutti gli episodi addotti dall'interessato e quindi dalla configurabilita' del mobbing, e' tenuto a valutare se alcuni dei comportamenti denunciati, esaminati singolarmente ma sempre in relazione agli altri, pur non essendo accomunati dal medesimo fine persecutorio, possano essere considerati vessatori e mortificanti per il lavoratore e, come tali, siano ascrivibili alla responsabilita' del datore di lavoro che possa essere chiamato a risponderne, ovviamente nei soli limiti dei danni a lui imputabili". Sulla base di questo principio di diritto, la Corte d'appello di Napoli, che aveva in un primo tempo dato torto alla donna, dovra' riesaminare il caso. La dipendente si era rivolta ai giudici denunciando "continui rimproveri", rapporti "difficili" con una collega e una "precisa strategia persecutoria posta in essere dai titolari della farmacia per indurla alle dimissioni".
Secondo gli 'ermellini', il suo ricorso e' fondato: "Se anche le diverse condotte denunciate dal lavoratore non si ricompongano in un unicum e non risultano, pertanto, complessivamente e cumulativamente idonee a destabilizzare l'equilibrio psico-fisico del lavoratore o a mortificare la sua dignita' - si spiega nella sentenza depositata oggi - cio' non esclude che tali condotte o alcune di esse, ancorche' finalisticamente non accomunate, possano risultare, se esaminate separatamente e distintamente lesive dei fondamentali diritti del lavoratore, costituzionalmente tutelati".""""""""".

venerdì 26 ottobre 2012

TERREMOTO CALABRIA-BASILICATA : BLOCCHIAMO DISASTRI PEGGIORI FINCHE' SIAMO IN TEMPO



Esprimiamo la nostra solidarietà e vicinanza alle popolazioni colpite. Cogliamo l'occasione però per riproporre all'attenzione dell'opinione pubblica due questioni:

1) servono 40 miliardi per mettere in sicurezza l'Italia dagli effetti di terremoti, pochi rispetto ai 162 gia' spesi (e a quelli che dovremo continuare a spendere) per i post terremoti. Come AGL chiediamo che i soldi che si vorrebbero impiegare per la ripresa della costruzione del ponte sullo stretto di Messina vengano spesi invece per mettere il territorio al riparo dalle conseguenze dei terremoti.Tra i due quale sarebbe il miglior investimento per la crescita e l'occupazione?

2)Come AGL chiediamo anche una moratoria per nuovi permessi e concessioni per estrazioni petrolifere in Basilicata. Il territorio lucano è ormai assediato dalle compagnie petrolifere che non aspettano altro che l'autorizzazione per finire di bucherellarlo nella sua totalità. Le loro attività invasive mettono a rischio la salute dei residenti e l’ambiente e sembra che le Pubbliche Autorità abbiano sotto stimato i rischi sismici e gli impatti sulle falde acquifere e sull’ambiente, con una l'assenza di puntuali informazioni circa i rischi che tali attività comportano sul territorio

venerdì 21 settembre 2012

AMIANTO QUESTIONE IRRISOLTA. E NESSUNO SE NE OCCUPA PIU'

 LA MAPPA DELL'AMIANTO IN ITALIA



Incredibile a dirsi ma ancora in Italia quella dell'amianto è una questione irrisolta e, per di più, lontana dai riflettori. Il problema è tanto più grave nelle regioni (qui sopra ve ne forniamo la mappa) in cui stata è consistente in passato la presenza di aziende che ne facevano utilizzo. Tale rischio permane alto, in ragione della considerevole presenza e diffusione in quantità pericolose nei luoghi di lavoro e nelle lavorazioni, nelle abitazioni e nelle strutture pubbliche e private. Una realtà rimossa dalle istituzioni, spesso sconosciuta e sottovalutata dagli stessi cittadini non informati adeguatamente .La legge 257/92 , oltre a vietare l'uso dell'amianto e ad imporne lo smaltimento, delegava alle Regioni la definizione dei piani di bonifica e la loro realizzazione. In maniera scandalosa le previsioni di tutela previdenziale della legge sono state artatamente depotenziate ,privando i lavoratori esposti del beneficio dell'uscita anticipata dal mondo del lavoro. E' urgentissimo riprendere sul territorio l'opera di rimozione e smaltimento dell'amianto, vigilando in modo diffuso per verificare che ciò avvenga una volta per tutte. Occorre sensibilizzare, informare e prevenire il rischio amianto, verificare l'applicazione delle leggi con il monitoraggio della situazione attuale e soprattutto riproporre l'effettiva tutela dal punto di vista sanitario di coloro che in passato sono stati inconsapevolmente soggetti alle conseguenze devastanti dell'esposizione professionale, della manipolazione, dell'uso e dell'inalazione dell'amianto e di quanti lo sono tuttora.

martedì 18 settembre 2012

6.11.2012 COLORADO (USA): REFERENDUM PER LEGALIZZARE L'USO RICREATIVO DELLA MARIJUANA

Dal sito dell'Associazione dei Consumatori ADUC:
http://www.aduc.it/notizia/referendum+legalizzazione+marijuana+novembre_124963.php

Fumare in modo occasionale marijuana renderebbe i polmoni più sani rispetto a chi si accende una normale sigaretta. I rischi per la salute polmonare legati a questi comportamenti sarebbero minori nel primo caso. A rivelarlo è uno studio dell’Università dell’Alabama, pubblicato sul Journal of the American Medical Association, che ha monitorato per circa 20 anni dei fumatori di tabacco e altri di marijuana.
Ovvio sottolineare il colpo al mercato nero e alla delinquenza di un simile eventuale provvedimento oltre al beneficio fiscale e occupazionale che ne potrebbe derivare.

lunedì 30 luglio 2012

ILVA DI TARANTO: MORIRE AVVELENATI, MORIRE DI FAME DISOCCUPATI O EMIGRARE?



Innanzitutto piena solidarietà ai tarantini, sia a quelli che lavorano all'ILVA o nell'indotto sia a quelli che non ci lavorano. Non è colpa loro se si è arrivati a questo punto. Si accusa la politica. Giusto. Il servilismo durante questi anni nei confronti della famiglia Riva è sotto gli occhi di tutti. Ma cosa ha fatto la Magistratura dal 1961 in poi? Grazie quindi anche al GIP Todisco (ai PM e alle Forze dell'Ordine che li hanno coadiuvati) per aver fatto, finalmente, per conto dello Stato, il proprio dovere.
Dei ritardi della politica abbiamo già accennato. Quella nazionale, quella regionale pugliese, quella tarantina. Ma neanche i Sindacati storici (nazionali e locali) possono dire di avere la coscienza a posto. E si vede dai comunicati impauriti che stanno diramando in queste ore. Capiscono che la gente è esasperata e che la situazione può sfuggire loro di mano. Sicuramente singoli dirigenti avranno denunciato, lanciato allarmi. Ma è evidente che in questi decenni la "ragion di stato" sindacale abbia prevalso. Si sostengono i lavoratori tout court e si spera nel Tribunale del riesame. E' evidente che 12000 operai imbestialiti , a stento guidati dai loro delegati sindacali, non riprendono il lavoro così tranquillamente dopo aver quasi posto in stato di assedio una città, se non hanno, seppur riservatamente, avuto precise rassicurazioni dai soggetti istituzionali che, si sa, in questi casi, remano abbastanza in sintonia tra loro. E non è neppure un caso se i tecnici che avrebbero dovuto avviare le operazioni di spegnimento che durerebbero 2 mesi neppure abbiano messo il naso fuori dai loro laboratori.
Siamo italiani e queste cose, da sempre, le capiamo al volo.
Quindi facciamo un passo in avanti, qualche considerazione sull'immediato futuro.Innanzitutto: l'ILVA è uno stabilimento essenziale per l'economia italiana ma è tecnicamente ormai superato e alla fine del suo ciclo utile.Risponde a una logica antica, di sfruttamento indiscriminato del territorio e di disprezzo per la salute a vantaggio del profitto.Non ce ne siamo accorti ma il modello tarantino è quello oggi imperante in quelle realtà del mondo appena sviluppato in cui si sacrifica tutto alla minimizzazione del costo del lavoro (ricordate quando si parlò di quella fabbrica cinese, detta "dei suicidi" in cui una multinazionale occidentale aveva, con grandi profitti, delocalizzato una sua produzione?). Come capita di frequente accusiamo società che si trovano a migliaia di km. da noi di comportamenti che attuiamo nel cortile di casa nostra e, per di più, con nostri connazionali.
Parliamoci chiaro e non cerchiamo di diluire le responsabilità e di buttarla in politica. Qui occorre non fermarsi agli arresti domiciliari dei proprietari ma assicurarsi che presto tutto il loro patrimonio , in Italia e all'estero ,sia quello personale che quello celato nelle casse della società ILVA, venga destinato alla popolazione tarantina (lavoratori e cittadini) per iniziare a lenire i danni (a volte irreversibili) procurati da questa famiglia. Non sta a noi indicare le soluzioni tecnico-giuridiche per realizzare ciò ma alla politica nazionale innanzitutto (la riforma elettorale può aspettare un pò)perchè questo si configura come un disastro doloso di proporzioni nazionali da punire esemplarmente.
Diciamo poi un'altra cosa chiara: l'accordo raggiunto tra governo, parti sociali e enti locali sulla bonifica e il risanamento è solo fumo negli occhi, un inganno, per gli operai e per i cittadini di Taranto.I soldi di cui si parla (336 milioni di euro non ancora tutti a disposizione più altri 100 promessi dalla Regione Puglia) non sono soldi legati a interventi ex novo dopo il disastro ma denaro occorrente per onorare impegni e accordi presi prima e sui quali, a questo punto, relativamente all'effettiva incisività, è lecito avanzare pesanti dubbi. E poi sono pochi: a Porto Marghera, per un intervento analogo, si stanno investendo 5 miliardi di euro. Meglio a questo punto che in blocco tutti questi soldi vengano subito riversati sugli operai dell'ILVA e dell'indotto (almeno saremo sicuri della loro corretta destinazione) per i quali si prospetta un lungo periodo di difficoltà che a stento potrà essere fronteggiato con i soli ammortizzatori sociali.Perchè diciamoci la verità: lo stabilimento ILVA mai e poi mai potrà essere compatibile con la città di Taranto. Facciamocene una ragione. Comprendiamo che ormai lo scandalo ha raggiunto un livello tale che è probabile che sulla questione ci metta le mani l'Onu ancor prima di occuparsi del nucleare iraniano.Tecnicamente non è possibile bonificare quel tipo di impianto senza prima spegnerlo. Non è vero che Taranto sia una città a vocazione industriale, chiedetelo ai mitilicoltori e agli allevatori che hanno dovuto chiudere i battenti.L'industria semmai dovrebbe portare sviluppo complessivo, non produrre cattedrali nel deserto per di più creato dalla stessa industria con lo sterminio degli esseri viventi. Chiudiamo l'ILVA, abbandonando illusori e antieconomici propositi di bonifica e riconversione, sosteniamo per 3-4 anni il reddito degli operai (compresi quelli dell'indotto) raccogliendo i soldi così come da noi indicato, riuniamo intorno a un tavolo i soggetti sociali tarantini, pugliesi , nazionali e internazionali e individuiamo un modello di sviluppo alternativo, con produzioni ecosostenibili, magari creando una zona franca fiscale. In 3-4 anni può avvenire il miracolo: diminuire e azzerare i morti avvelenati, sostenere questi eroici lavoratori che, come quelli della centrale di Cernobyl , hanno quasi certamente compromesso il loro futuro per assicurarne uno alle loro famiglie e alla loro regione ed evitare una ingiusta ripresa del fenomeno migratorio di tanti bravi lavoratori italiani.

venerdì 6 luglio 2012

CHIMICA VERDE: UNA SPERANZA PER LA SARDEGNA, PER LA SUA AGRO-INDUSTRIA E PER IL SUO FABBISOGNO ENERGETICO

Leggiamo con piacere una notizia in controtendenza rispetto alle vicissitudini di questi anni dei lavoratori dell'industria sarda.
Dal sito de LA NUOVA SARDEGNA
http://lanuovasardegna.gelocal.it/sassari/cronaca/2012/07/06/news/chimica-verde-si-parte-matrica-apre-i-cantieri-1.5367439
Primo elemento: un impianto petrolchimico rimpiazzato da azienda operante nella chimica verde.La partecipazione non passiva degli agricoltori e organi di controllo dell'ambiente al passo con le esigenze dello sviluppo.Grande interesse desta la realizzazione del concetto di filiera innovativa e il coinvolgimento dei vari attori di essa.
I comitati di cittadini molto attivi nelle realtà locali sarde non mancheranno di far sentire la loro voce e di far pesare il loro parere in materia.
Per anni abbiamo sostenuto che per risalire la china (crisi generale dell'agroindustria e specifica dell'economia sarda) occorreva inventarsi qualcosa di nuovo. Ora abbiamo qualcosa di molto concreto su cui anche i lavoratori sardi vorranno dire la propria. L'ideale sarebbe salvaguardare al massimo le tradizioni e evitare che dal bisogno di sviluppo scaturiscano deleterie distorsioni e speculazioni. Quindi vigilanza critica ma anche partecipazione entusiasta a queste novità.

sabato 30 giugno 2012

BIOGAS: ENNESIMO TEST SULLA CRESCITA

La CIA (Confederazione Italiana Agricoltori),parte datoriale, da due anni conduce una interessante battaglia per ottenere dal Ministero dello Sviluppo Economico e dall'Autorità per l'Energia Elettrica e per il Gas, i decreti attuativi per la messa in rete di questa fonte energetica. I vantaggi, dal punto di vista economico per il Paese (quindi anche per i lavoratori dell'agroindustria) sarebbero molteplici:risparmio sull'importazione di gas, la creazione di decine di migliaia di posti di lavoro, crescita del PIL di settore, integrazione del reddito delle aziende agricole e vantaggi ambientali (anche se quest'ultimo punto è controverso) .
La stessa CIA avanza il dubbio che i ritardi governativi possano originarsi da contratti per la fornitura di gas già stipulati con la russa Gazprom. Gradiremmo qualche precisazione dal Ministro Passera.
La produzione del biogas presenta vantaggi e svantaggi. Vantaggi:pareggio del bilancio dell'anidride carbonica emessa in atmosfera e limitazione della diffusione negli strati alti del metano (potente gas-serra) da decomposizione di carcasse e vegetali. Svantaggi:per produrre biogas occorre coltivare appositamente terreni che vengono sottratti alla produzione di derrate alimentari,usando fertilizzanti e pesticidi che inquinano il terreno stesso e la sottostante falda acquifera. I cattivi odori vicini ai centri abitati. L'inquinamento da traffico dei camion occorrenti. Inoltre la comprovata non neutralizzazione di tutti i batteri del ciclo produttivo (alcuni dei quali pericolosissimi).Traccia di queste questioni si ha, ricorrentemente, in occasione dei tentativi di collocare questi impianti sul territorio da parte di imprenditori e delle autorizzazioni concesse o meno dalle amministrazioni locali con contemporanea mobilitazione delle popolazioni interessate. Problema complesso, quindi, che comunque secondo noi va gestito in maniera razionale e non emotiva, caso per caso. E' evidente che innanzitutto vada evitata la collocazione degli impianti vicino ai centri abitati. Inoltre va prevenuta la speculazione da parte di imprenditori estranei al settore agricolo. Quindi andrebbero utilizzati solo scarti agricoli e liquami da allevamento prodotti nella zona dell'impianto e non trasportati da lontano. Anche per garantire che l'integrazione del reddito vada a beneficiare le imprese agricole locali e per limitare il traffico inquinante dei camion provenienti da lontano. E' necessario poi usare effettivamente, in prevalenza, degli scarti e , solo in piccola misura, dei prodotti agricoli che, se sottratti dal mercato, producono un incremento dei prezzi alla vendita. Importante è poi che il calore prodotto dagli impianti venga utilizzato dalla comunità locale (riscaldamento, acqua calda, energia elettrica), privati e imprese, che possano trarre beneficio dal risparmio sui prezzi dell'energia. Sarebbe infatti antieconomica una dispersione di tale risorse. E poi, da ultimo, un controllo esterno efficiente ed efficace. Su vari piani. Da parte dei cittadini, innanzitutto, organizzati in comitati ; da parte degli organi deputati alle analisi chimiche e ambientali; sulla politica locale, per evitare che anche in questo campo si diffonda la piaga della corruzione dei pubblici funzionari. Anche in questo settore il Paese dovrà dar prova di riuscire a crescere, al pari di altri Paesi che da anni stanno già utilizzando questa fonte per i più svariati usi civili.